Il fenomeno dei “Fake Artist” su Spotify: il caso sconcertante di Johan Röhr

Il fenomeno dei “Fake Artist” sta emergendo come una questione controversa nel mondo dello streaming musicale, in particolare su piattaforme come Spotify.

Fake artist spotify

Recentemente, il quotidiano svedese Dagens Nyheter ha pubblicato un articolo che solleva interrogativi su uno degli artisti più ascoltati su Spotify: Johan Röhr, un compositore svedese fino ad ora sconosciuto al grande pubblico.

Röhr, un polistrumentista di 47 anni residente a Stoccolma, è stato identificato come il cervello dietro oltre 2.700 canzoni pubblicate sotto almeno 50 alias diversi e 656 nomi di artisti inventati (Fake Artist).

Queste tracce hanno accumulato oltre 15 miliardi di stream sulla piattaforma, rendendo Röhr uno dei 100 artisti più ascoltati di sempre su Spotify, superando persino icone della musica come Michael Jackson e gli ABBA.

Le playlist di Spotify

Fake artist spotify playlist

Il modus operandi di Röhr è stato scoperto nel dettaglio: è riuscito a far entrare ben 144 delle sue creazioni in playlist strumentali ufficiali di Spotify, con un totale di 62 milioni di follower. In alcuni casi, metà delle tracce presenti in queste playlist erano attribuite a Röhr tramite i suoi pseudonimi.

Il tutto in modo legale.

Ciò solleva domande riguardo alla trasparenza e all’etica del sistema di streaming musicale.

Anche se Spotify non vieta agli artisti di pubblicare musica sotto nomi falsi (molti artisti utilizzano nomi d’arte), il caso di Röhr solleva preoccupazioni riguardo alla manipolazione del sistema e alla concorrenza sleale nei confronti di musicisti legittimi.

Il fenomeno dei Fake Artist

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È importante sottolineare che Johan Röhr non è l’unico caso noto di “Fake Artist”.

La pratica sembra essere parte di un fenomeno più ampio, con artisti svedesi che collaborano con Spotify per creare contenuti progettati per sfruttare gli algoritmi della piattaforma e ottenere maggiori ascolti e visibilità.

Questo solleva ulteriori domande sulle pratiche commerciali di Spotify e sul trattamento dei musicisti, in quanto potrebbe comportare pagamenti di royalties inferiori rispetto agli artisti sotto contratto con le major.

Il dibattito attorno ai “Fake Artist” evidenzia la necessità di un giornalismo investigativo e trasparente per esporre queste pratiche e garantire un campo di gioco equo per tutti gli artisti.

Inoltre, pone in evidenza la necessità di regolamentare e monitorare attentamente l’industria dello streaming musicale per garantire una distribuzione etica della musica.

 

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